La terza sezione, denominata Corpus, rivendica nella fisicità e nella matericità l’imperativo all’esistenza, intende la plasticità non solo come esigenza estetica e formale ma come evidenza imprescindibile della contemporaneità. A partire da Fabbriano (1936-2019), che contrappone una sagoma buia, impastata nella pece, alla luminosità lieve e sognante di una fanciulla, il cui profilo è rimodellato dal gesto veloce e censore del carboncino. La stessa grafite in una dinamicità centrifuga approda nell’operato di Armando Marrocco (1939), che si muove con disinvoltura dall’astrazione lirica in cui il colore sfuma e cangia alla scultura, creando nella casa dei collezionisti una vera e propria installazione ambientale. In Stampa a bocca (1979), su una superficie accartocciata e risentita, sembra portare al limitare la deriva del mare. Massimo Levati (1977) utilizza invece il corpo della carta che diviene strumento espressivo, strategia chiaroscurale di luci e ombre. In Sprouting out of nothing (2019), la carta viene tagliata e intessuta sul foglio di grammatura superiore a generare una forma dall’apparenza organica, pronta a interagire col divenire atmosferico. Dai profili invece netti e geometrici è il mondo di Renzo Schirolli (1935-2000), dove la campitura piatta si alterna a texture pop, dove il Paesaggio (1972) reale si fa razionale e sintetica riproduzione di un mondo votato alla precisione e all’ordine, in cui solo il colore può anelare alla piena libertà. Barbara Rae (1943), in Pueblo, trasforma il paesaggio in una festa di forme e colori caldi, strafottenti nell’invadere il margine e sconfinare reciprocamente, lei scozzese eppure così latina nel sentire e nel narrare in arte. Giovanni Gastel (1955-2021) usa la fotografia come strumento di indagine formale, in essa non vi è nulla di casuale, nulla di estemporaneo, ma tutto ha una fisicità mediata, controllata, esaltata. La perfezione non lascia che i moti dell’animo del soggetto immortalato trapelino a turbarla. Infine il lavoro fisico ed etereo di Michele Spanghero (1979) si esprime a pieno in Voice of space (2012), una sfera enigmatica e perfetta, futuribile e al contempo così eterna, dalla quale emana il suono dello spazio, la campionatura di tutta quella gamma acustica così presente e pure impercettibile. Vi è anche il video della performance Audible forms realizzata nel 2013 al Mart di Rovereto (Trento): a essere protagoniste e ad aver voce sono le sculture della gipsoteca di Andrea Malfatti. In Chiara Lecca (1977), uno spiazzante cerchietto per capelli ci ricorda che viviamo nell’era del consumismo, del feticismo, dell’ambiguità fisica e dell’edonismo. Che c’è allora di più glamour di un decoro per capelli con magnifiche reali orecchie suine?

E.P.

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