Business di famiglia: Workout magazine incontra Junio Riccardo Celada, Direttore Generale di CELADA Fasteners
No, non è refuso. Ricominciamo dall’inizio, dall’abbiccì del marketing: un business è B2B o B2C a seconda del tipo di clientela a cui è orientato. Punto.
O no? In effetti un’altra categoria si è affacciata da qualche tempo nel mondo delle imprese: il B2P, cioè il Business to People. In questo modello è la singola persona a essere al centro di ogni relazione perché si parte dall’assunto che anche se ci si rivolge alle aziende, queste sono costituite da individui, ciascuno con la propria soggettività, con la propria personalità, soggetti di cui bisogna comprendere bisogni e preferenze se si vuole instaurare un rapporto commerciale proficuo. In buona sostanza, si restituisce centralità all’interlocutore che in questo modo, anche se lavora in un ambito aziendale, non si limita a fare da «passacarte», ma diventa un vero e proprio partner. È una strategia che implica una serie di buone pratiche, molte delle quali sono quelle comunemente applicate nel mondo dell’e-commerce nel quale il cliente viene avvolto – è proprio il caso di dirlo – in una bolla informativa, viene costantemente accudito in ogni fase del pre- e del post-acquisto oltre che, come è ovvio, nel momento stesso in cui l’acquisto avviene.
«Prima ancora di riceverne conferma da più parti, per il mio business io mi ero immaginato proprio un approccio di questo tipo – racconta Junio Celada, Direttore Generale di CELADA Fasteners – da frequentatore e utilizzatore delle piattaforme di e-commerce mi chiedevo perché non prendere spunto da loro per migliorare la nostra customer experience».
Per chi non lo conoscesse, il mondo di cui stiamo parlando, quello dei fasteners, riguarda i componenti per l’assemblaggio nel mondo dell’industria con una focalizzazione sul metallo e la plastica, in altre parole sono elementi di fissaggio presenti in qualsiasi macchinario.
È uno strano mondo il loro perché, nonostante siano ovunque, non solo non sono molto considerati nei programmi di studio degli Istituti Tecnici e delle facoltà universitarie, ma nemmeno così conosciuti – come dovrebbe essere – dagli stessi progettisti: «Le racconto un aneddoto. Anni fa sono stato chiamato da un docente del corso di Disegno Industriale del Politecnico di Milano: i ragazzi erano impegnati nel progetto di un nuovo tipo di scanner a raggi X. Avevano elaborato tutti i pezzi, arrivati però al momento del loro assemblaggio si erano arenati perché non è materia di studio e quindi mi si chiedeva di tenere una lezione sulle possibilità dei fasteners. Cosa che ho fatto di buon grado. Diciamo che il sistema di fissaggio, anche nelle facoltà di ingegneria e nelle scuole di meccanica, è un grande assente oppure, se viene affrontato, lo si fa in modo superficiale. Il risultato è che talvolta i progettisti se lo disegnano loro, magari in modo fantasioso, anziché utilizzarne uno standard che sarebbe, tra l’altro, più economico oltre che già disponibile».
Ma abbiamo divagato, è tempo di tornare al B2P: «Capisco di dire qualcosa che magari in altri ambiti imprenditoriali non suona così originale, ma nel nostro mondo, quello industriale, è piuttosto nuovo: si tratta essenzialmente di far sì che ogni acquisto si incanali in un processo digitale ottimizzato. Mi spiego meglio: in genere, o almeno è così in tante realtà, l’offerta arriva al cliente via e-mail, c’è un pdf che deve scaricare, firmare e rimandare, sempre con una e-mail. A questo punto il cliente aspetta che arrivi una conferma da parte del fornitore, il che implica che questi a sua volta abbia scaricato l’allegato del cliente, lo abbia stampato, archiviato e poi abbia inviato un’altra e-mail al cliente… insomma un iter farraginoso che a me faceva e fa venire l’orticaria. Per cui mi sono chiesto come poter sveltire questa trafila consentendo contemporaneamente al cliente di poter accedere a tutte le informazioni di cui può aver bisogno senza doverci interpellare di continuo». La soluzione? «Creare per ogni cliente un’area personale sul nostro portale a cui si accede attraverso un link: lì il cliente può visualizzare la nostra offerta che può accettare o rifiutare con semplice click. Ma non solo, nella sua pagina potrà trovare traccia dell’avanzamento dell’ordine, visualizzare tutti i documenti che lo riguardano, dai disegni del prodotto alle fatture, può attivare le notifiche via SMS o Whatsapp sulle consegne. Lato nostro, quel click è un ordine che va direttamente a magazzino per la preparazione del prodotto tagliando tutte le fasi, diciamo “burocratiche”, intermedie con un notevole risparmio di tempo. Il risultato: oggi con poco sforzo riusciamo a gestire un numero molto elevato di preventivi ogni anno. È una classica situazione win-win: vantaggiosa per il cliente e anche per noi. Consideri che chi ha adottato questa modalità ha visto aumentare sensibilmente la percentuale di conversione in ordini e per un’impresa come la nostra, che lavora su volumi importanti, un incremento a doppia cifra ha un impatto davvero significativo.
Un altro aspetto interessante di questo approccio è la possibilità di far sentire al cliente una presenza al suo fianco costante anche se soft: «Il sistema monitora l’uso che un cliente fa della sua area personale e così noi siamo in grado di perfezionare la relazione che abbiamo con lui. Si tratta di un’interazione tra automatismo e intervento reale ma il cliente la percepisce come un garbato supporto e lo apprezza. Ed è tutto migliorabile perché al mio interlocutore, che ripeto, è una persona anche se fa parte di un’azienda, posso offrire costantemente nuove e utili informazioni per implementare la relazione con lui. In buona sostanza il nostro obiettivo è quello di essere sempre in contatto in qualche modo con tutti i nostri referenti, che non sono le 3.000 aziende nostre clienti, ma sono molti di più: basta una newsletter, una mail, un feedback di un certo tipo, insomma un input qualsiasi che faccia loro ricordare che “ci siamo”».
Ci si potrebbe chiedere se tutti gli interlocutori siano in grado di apprezzare questo modello di interazione, ma Celada non ha dubbi in proposito: «Il mio cliente è in media una generazione indietro rispetto a me, è davvero molto giovane, magari è appena uscito dalla facoltà di Ingegneria o è da poco entrato nel mondo del lavoro, ed è perciò abituato al mondo digitalizzato».
Mondo che non intimorisce nemmeno Celada, che, anzi, ne è fortemente attratto: «Ho da sempre l’ossessione, è proprio il caso di dirlo, di quello che sarà, del futuro. Considerata anche la mia età, ho vissuto pienamente e in modo consapevole la transizione al digitale, non è che a un certo punto della mia vita mi sono svegliato e ho cominciato a chiedermi cosa fossero quelle macchine che chiamavano computer. Il mio primo PC, che ancora non montava Windows come sistema operativo, l’ho ricevuto in regalo quando ero un adolescente: erano gli anni Ottanta e già cercavo di programmare un gioco con una pallina che rimbalzasse per lo schermo. Qualche anno dopo mi dedicavo a montare io stesso il mio computer acquistandone i singoli pezzi e ancora successivamente ho assistito all’arrivo di Internet e poi all’avvento dei social. Diciamo che mi piace stare nel flusso delle cose anche perché da responsabile di un’azienda non posso non essere a conoscenza di taluni fenomeni, anzi devo cercare di capire se potrebbero essere utili anche nel mio lavoro. Prenda per esempio Tik Tok: all’inizio non mi sembrava di avere molte affinità con questo social perché è indirizzato a una generazione diversa dalla mia e quindi ci ho messo un po’ di tempo per avvicinarmici. Ma volevo capirlo, mi sono applicato con caparbietà e adesso lo uso, anche se nella sfera personale, ma sempre valutando se e quando possa essere uno strumento di comunicazione adatto alla nostra Società». Società che è presente non solo su LinkedIn, ma anche su Facebook, Instagram e YouTube.
A suo parere ogni strumento, ogni tecnologia che entra a far parte del nostro mondo va conosciuto e il suo utilizzo approfondito perché non ci si può lasciar cogliere impreparati sul fronte dell’innovazione: «Una sera al momento di andare a dormire mi sono reso improvvisamente conto che non mi stavo interessando alla stampa 3D e mi ha colpito un pensiero molesto: non è che con questa tecnica adesso si riescono a produrre anche i fasteners e io non lo so e quindi sto perdendo un treno, o peggio, sto per essere travolto da quel treno? Lo confesso: non sono riuscito a dormirci sopra e il mattino seguente sono subito andato a cercare informazioni in proposito per scoprire che qualcosa con la manifattura addittiva effettivamente lo si fa nel nostro campo, ma non si producono ancora i fasteners. Il treno non è perso e oggi offriamo una gamma di inserti specifici per le applicazioni 3D».
Questo guardare sempre avanti unito a un’attenzione spasmodica per ogni fenomeno che compare all’orizzonte non è solo il segno di un’attitudine mentale – che pure c’è –, ma è, secondo Celada, l’R&D della sua azienda: «Fare ricerca e sviluppo è vitale per ogni impresa. Se fossimo dei produttori investiremmo in nuovi materiali, nuovi processi. Ma noi commercializziamo e tra l’altro il nostro è un prodotto che ha possibilità di innovazione molto limitate e quindi? Quale può essere l’R&D di un’azienda commerciale? La nostra risposta sta nei servizi che offriamo. È così che è nata FASTO.tech, un brand sotto il cui cappello inseriamo progetti per noi innovativi per poi testarli, senza troppe pretese di marginalità».
Il primo di questi progetti è il noleggio di macchine per l’installazione dei loro fasteners: «In passato e per una decina di anni siamo stati distributori di queste presse per lamiera prodotte dall’azienda migliore, almeno a mio parere, nel campo. Per ragioni più grandi di noi ne abbiamo perso la rappresentanza e a quel punto ho deciso che non mi interessava trovare un loro competitor, che sarebbe stato a un livello di eccellenza inferiore, per sostituirli. Abbiamo congelato temporaneamente quel ramo di attività per poi ritornarci, ma con un modello diverso. Abbiamo trovato un produttore di quel tipo di macchine, le certifichiamo in Italia e sono a disposizione dei clienti per il solo noleggio. Abbiamo creato un sito Internet dedicato ed è lì che il cliente va a scegliere la tipologia che gli serve, seleziona un periodo, paga con la carta di credito e il giorno dopo riceve il macchinario. Così siamo riusciti a rientrare su quel mercato senza andare a confliggere con il “nostro” vecchio marchio e allo stesso tempo siamo entrati nel mondo virtuoso dell’economia circolare, dell’approccio anticonsumistico, perché grazie al renting ogni macchina è usata da più persone. Poi, visto che l’idea ha avuto successo, abbiamo deciso di collocare sotto lo stesso cappello tutti i nostri tool di installazione per cui adesso FASTO.tech è una piattaforma di noleggio. Le macchine arrivano al cliente debitamente inscatolate, accompagnate dalle istruzioni per il funzionamento e se ci fossero dei problemi interviene un nostro tecnico».
Sulla piattaforma Celada vorrebbe offrire ai suoi clienti anche altri servizi – «le nostre competenze» – di cui sarà possibile verificare la disponibilità sul calendario pagando al momento della prenotazione sempre con carta di credito, «proprio come si fa su Booking». Così come sta cominciando a esplorare i mondi delle subscription e delle vending machine: «Avrebbe senso nel nostro mondo? Non lo so, ma non voglio trascurarlo».
E l’AI? Impossibile cogliere in castagna Celada. Da bravo secchione ha studiato l’argomento per concludere che «L’Intelligenza Artificiale si sta sviluppando nel campo dell’assistenza al cliente molto di più nel mondo B2C o in quelle società che hanno ingenti volumi di richieste per problemi vari o semplice informazione. In quei casi l’AI è in grado di smistare e poi accompagnare la clientela verso la risposta di cui ha bisogno. Ma non è il nostro caso perché difficilmente i nostri prodotti hanno criticità. Però sì, certo, in futuro potrebbe essere utile, non respingo nessuna novità perché se lo facessi, nel mondo di oggi potrei non rendermi conto di trovarmi eventualmente in una situazione critica».
Lucidità di analisi, progettualità a 360 gradi, capacità di pensiero trasversale, in Junio Celada c’è tutto questo, ma che dire dell’amore per il suo prodotto? Gira a lungo attorno alla risposta, che alla fine arriva secca, con pochi margini al sentimentalismo: «Il mio prodotto è un’opportunità e da questo punto di vista è eccezionale. E infatti dentro di me ringrazio sempre mio padre e prima ancora mio nonno per aver avuto questa intuizione, per aver percepito un ambito fondamentale e imprescindibile del mondo industriale. Quindi sì, potrei dire che amo il mio prodotto per le possibilità che mi dà di poter continuare a esistere».
La sua è un’azienda che non è sbagliato affermare sia nata più volte: «La primissima data di nascita è collocabile nel 1938 perché è in quell’anno che mio nonno, ingegnere, ha dato il via a un’attività nel mondo delle macchine utensili. Inizialmente le produceva proprio, poi con l’entrata del fratello nell’impresa, la società si è indirizzata con successo verso la loro pura commercializzazione. Negli anni Cinquanta una svolta: mio nonno torna da un viaggio negli Stati Uniti con un oggetto che sembra una molla, ma che in realtà è un inserto per ripristinare le filettature nei metalli nel caso si siano perse oppure per proteggerle in anticipo dall’usura. Mio nonno cominciò a ragionarci sopra: avrebbe potuto inserire questa protezione in tutte le macchine utensili, per migliorarne la qualità. Così ha cominciato a importare questi prodotti dando il via a una costola della sua azienda a essi dedicata. Con mio padre, nel 1975, c’è stata la netta separazione, anche dal punto di vista societario, delle due attività: quest’anno quindi festeggiamo il 50° anniversario di CELADA Fasteners. Questo mezzo secolo ci ha visti impegnati in una continua ricerca di prodotti per metallo, poi per lamiera e infine, grazie alla joint venture con PSM International, per la plastica». Sì, perché nel 1986 ha preso forma l’accordo tra quella che allora era una società inglese – e oggi invece è di proprietà della Bulten svedese – e l’azienda allora del padre di Junio: PSM CELADA Fasteners è il suo nuovo nome.
La storia personale di Junio, a interpretare le sue parole, perché sono precise, ma sempre anche caute, non è stata esattamente plasmata sull’azienda di famiglia: «Innanzitutto non ho mai ricevuto pressioni in quel senso. All’università ho scelto scienze politiche perché mi sarebbe piaciuto intraprendere la strada della politica internazionale, mi appassionava, e tuttora è così. D’altro canto, quando durante la tua gioventù hai la consapevolezza dell’esistenza di un’azienda famigliare, sai che potresti alla fine andarci a lavorare e nel contempo fai di tutto per sfuggire a questo destino, è naturale che tenti di intraprendere altre strade. Poi ho capito che mi attirava l’idea di gestire un’attività e quindi sono entrato in azienda. E come spesso in questi casi, nessuno ti sta aspettando e niente è preparato. E allora che fai? Cerchi un posto dove poter andare stando il più possibile lontano dal papà e io ho scelto il magazzino dove sono rimasto per tre anni. Sono tornato quando ho ritenuto di aver imparato i processi, conosciuto i prodotti e apportato in quell’ambito una serie di miglioramenti che ritenevo necessari. A quel punto mi sono inserito laddove vedevo degli spazi: ci manca una certificazione? Ho studiato e quindi mi sono occupato di quella. Oppure, abbiamo bisogno di una figura marketing? Va bene, mi metto a studiarlo. Alla fin della fiera è così che avviene il passaggio generazionale in aziende piccole come la nostra: non c’è una pianificazione accurata con test o prove attitudinali, esperienze all’estero o quant’altro. No, i figli cercano delle nicchie e vi si inseriscono».
Junio Celada ha spesso un modo di raccontare che sfiora il puro humor britannico, quello alla Wodehouse per intenderci, come quando narra delle periodiche visite del padre in azienda: «Arriva e, non so se lo faccia apposta, mi domanda a bruciapelo una statistica relativa a un certo prodotto. E io: «Non lo so, non me lo ricordo, aspetta che vado a vedere”. Apro il PC e naturalmente non trovo subito la risposta, devo consultare dei grafici, perdo tempo e lui con implacabile sadismo professionale: “Io avevo tutto scritto”. Se vogliamo alla fine non ha torto: noi con la nostra digitalizzazione spinta abbiamo la sensazione di avere tutto a portata di polpastrelli, ma non è così. Sappiamo, certo, che, a cercare, troveremo una tabella, un grafico, un report da riportare alla luce con un click, ma invece è facilissimo perdere la storicità delle informazioni». Ammesso che il passato sia poi così importante, un aspetto su cui Celada nutre forti dubbi: «Rispetto a mio padre per me il passato conta molto meno perché le situazioni cambiano di continuo e molto profondamente in poco tempo. Anzi potrei arrivare a sostenere che il passato non esiste. E che perciò a me interessa il futuro».
Dicevamo che CELADA Fasteners è una sorta di fenice aziendale: non risorge propriamente dalle proprie ceneri, ma si continua a rigenerare: «Qualche anno fa abbiamo optato per un deciso cambio generazionale, alcune figure chiave erano andate in pensione e ne ho approfittato per inserire persone nuove con competenze più attuali e per compiere una rivoluzione digitale sicché potrei davvero sostenere che siamo una sorta di startup, che però, e per fortuna, ha iniziato la sua vita con una solida base di fatturato. È stato a quel punto che abbiamo sentito il bisogno di fare il punto sui nostri valori». Un sondaggio interno, con interviste a tutti i collaboratori, ha permesso di individuarli e per comunicarli niente pomposi proclami, ma un agile libretto nel quale a ciascuno è abbinata una canzone e una coloratissima immagine dal sapore pop: quindi, tanto per fare un esempio, alla voce «coraggio» troviamo Don’t stop me now dei Queen (I’am a shooting star leaping through the sky/Like a tiger defying the laws of gravity/I’am a racing car passing by like Lady Godiva/I’m gonna go, go, go/There’s nothing stopping me!) e un unicorno maestoso che emerge da un mare di fiori color cobalto. «E con le canzoni abbiamo costituito una playlist che poi abbiamo pubblicato su Spotify».
Ma non basta elencare dei valori (noi lo faremo, sono contemporaneità, innovazione, coraggio, visione, etica, integrità, solidità, vicinanza). Per Celada, se non si dà loro concretezza, si resta in un campo che confina con l’ipocrisia. Ecco perché sono stati abbinati a tangibili iniziative, come il sostegno al Cisom, Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, istituzione impegnata nella protezione civile nelle emergenze sanitarie e nel primo soccorso nel Mediterraneo, piuttosto che l’adesione al programma Corporate Golden Donor del FAI oppure ancora la sponsorizzazione come main partner di un giovanissimo equipaggio velico che partecipa al campionato Yamamay Cup RS 21 Italian Class. E non è detto che rimangano sempre gli stessi: «Il mondo cambia e con esso i valori per noi importanti sicché nel tempo si potrebbe verificare anche un avvicendamento. L’importante per me è che ci sia un’integrità di fondo, l’identità tra quello che affermiamo e quello che facciamo».