Quali sono le sfide che le aziende familiari si trovano oggi ad affrontare? La risposta, anzi le risposte – perché sono molteplici e cruciali – a questo interrogativo sono emerse dalla tavola rotonda organizzata da LATI S.p.A., tra i produttori leader in Europa di plastiche ingegneristiche con sede a Gornate Olona, lo scorso 25 settembre in occasione del Business Family Day, uno degli eventi che nel corso del 2025 hanno scandito l’80° anniversario dell’azienda. La tavola rotonda, in collaborazione con il Laboratorio Fabula di LIUC, ha visto la partecipazione – oltre che di Michela Conterno, «padrona di casa» e Amministratrice Delegata di LATI –, di Serena Agostini, Amministratrice Delegata di Virma Group, Costanza Musso, Amministratrice Delegata del Gruppo Grendi ma qui anche nella veste di Coordinatrice degli Ambassador di AIDAF (l’Associazione Italiana delle Aziende Familiari), Mattia Malvestiti, Responsabile del Controllo di Gestione di I.M.P. S.p.A, e Laura Rocchitelli, Presidente e Amministratrice Delegata di Rold. Un parterre importante di relatori, guidato nella discussione da Federico Visconti, ex rettore di LIUC e fondatore di Fabula, nonché grande conoscitore delle dinamiche delle imprese familiari. Suo è anche il titolo dell’incontro: Tempi moderni per l’impresa familiare.
La ricorrenza di LATI ne sottolinea la non comune resilienza: Michela Conterno, che dell’impresa è terza generazione, ricorda che il traguardo da loro raggiunto è conseguito solo dal 13% delle aziende famigliari in Italia, il che introduce al primo tema che queste realtà si trovano inevitabilmente ad affrontare, prima o poi: il passaggio generazionale. Momento delicato che può diventare ancora più critico se a potersi candidare è «solo» una donna. Purtroppo ancora oggi allignano nel mondo imprenditoriale, soprattutto in ambiti tecnici e ingegneristici, pregiudizi di matrice fieramente maschilista e non sono pochi i padri che all’unica figlia preferirebbero il di lei compagno o addirittura sono disposti ad allargare ad altri rami della famiglia la successione pur di non mettere l’azienda nelle mani di una donna. Michela Conterno confessa di aver lottato per conquistare un ruolo in azienda, anche se nel suo caso il passaggio è poi avvenuto con pieno successo, motivo per il quale LATI è stata premiata con il riconoscimento Di padre in figlio, assegnato annualmente a quelle PMI protagoniste di un avvicendamento senza scossoni tra generazioni.
Lato suo Costanza Musso, sesta generazione alla guida di un’impresa che opera nel campo dei trasporti e della logistica – «un settore in cui le donne, come dicevo un tempo, di solito sono appese ai muri e nemmeno tanto vestite» –, racconta con verve puntuta di quando è entrata in azienda «solo perché era talmente malmessa che hanno chiamato tutti quelli che c’erano, senza farsi problemi se fossero uomini o donne, tant’è che io sono l’unica donna nella linea di successione dalla fondazione. Tutte le mattine guardo i ritratti dei miei predecessori e gli dico “Ve l’ho fatta!». Ma proprio perché il suo passaggio generazionale «è stato della serie “buttiamola in acqua e vediamo se starà o meno a galla”», in AIDAF Costanza si è tra l’altro prodigata a dettare le linee guida per preparare gli imprenditori ad affrontare questo momento con coraggio e visione, oltre che con tempestività. Per contro sia Serena Agostini che Laura Rocchitelli hanno vissuto passaggi decisamente più tranquilli. Serena è l’unica di tre sorelle a essere stata attratta fin dalla prima giovinezza da VIRMA (che produce minuterie metalliche su disegno, per la grande industria e in elevatissimi quantitativi): «Vedevo l’abnegazione di mio padre, la sua passione e quindi ho orientato da subito, dalla fine delle scuole medie, i miei studi per poterlo raggiungere nella gestione dell’azienda di famiglia, cosa che ho fatto con grandissimo entusiasmo. Mio padre è stato il mio capo, di più, il mio maestro ed è stato così intelligente da legittimarci per tempo, uso il plurale perché condivido la responsabilità dell’azienda con mio cugino, che è direttore tecnico, e con mio cognato». Laura Rocchitelli (la cui azienda è attiva nel campo della componentistica per elettrodomestici) è stata invece «eletta» dai fratelli al momento della scomparsa del padre: «Sono la primogenita di tre figli, e sono l’unica femmina, ma non è in obbedienza a un ordine di nascita che sono stata investita della responsabilità di guidare la nostra realtà, bensì perché i miei fratelli hanno ritenuto che fossi la degna successora di mio padre, anche se tutti e tre abbiamo respirato da sempre l’azienda e la passione che i miei genitori vi infondevano quotidianamente». E Mattia Malvestiti? Beh, lui è maschio e questo ha semplificato tante cose. Terza generazione di una famiglia con quattro rami tutti presenti nelle aziende del Gruppo – il settore è la produzione di stampi e i processi di tranciatura – ha comunque seguito un iter «formativo» ferreo con esordio in India (il Gruppo Malvestiti ha alcune sedi produttive a Chennai) e successivamente qualche anno di consulenza in uno spin-off di McKinsey, insomma ha, come di prammatica, «fatto la gavetta» prima di entrare a pieno titolo in I.M.P.
Scegliere il familiare che si ritiene più adatto alla successione non è semplice anche perché sempre di più si assiste a uno spopolamento, si potrebbe dire, della platea degli aspiranti «eredi», in altre parole, dice Michela Conterno, «Spesso il passaggio generazionale non va in porto perché i nostri giovani vogliono fare tutt’altro, magari lavorare in multinazionali oppure in start up, l’azienda di famiglia non piace più». E questo vale tanto per la NextGen della famiglia proprietaria quanto per il mondo dei giovani in generale. Quindi la domanda necessaria è: come rendere attrattive le imprese familiari? La risposta incrocia altre tematiche di basilare importanza per le PMI familiari, affrontate con lucidità da Laura Rocchitelli, prima fra tutti l’innovazione: «Tempo fa quando parlavi di innovazione, ti riferivi al prodotto o ai processi. Oggi è diverso: il concetto di innovazione viene interpretato a 360 gradi e investe quindi l’organizzazione dell’azienda così come l’approccio al mondo che ci circonda. A noi in particolare piace aprirci al territorio, per esempio lavoriamo molto con le scuole il che serve anche a farci conoscere da chi un domani cercherà un posto di lavoro. E sempre riguardo all’innovazione, nel 2016 abbiamo fatto un importante passo in avanti creando RLAB, un laboratorio staccato, anche fisicamente, dalla nostra area di ricerca e sviluppo e collocato invece all’interno di MIND, quell’ecosistema orientato al futuro che si trova nell’area che era stata sede di EXPO 2015. Il punto di partenza del nostro pensiero è stata la considerazione che nelle nostre aziende si fa più sviluppo che ricerca nel senso che si è molto concentrati sulle specifiche che arrivano dal cliente. E che quindi era arrivato il momento di alzare un po’ lo sguardo e focalizzarci su nuovi materiali e nuovi metodi di lavorazione. I nostri ragazzi fanno ricerca a un livello più alto e con un orizzonte temporale meno legato al contingente: per esempio adesso stanno lavorando sul tema delle microplastiche rilasciate durante i cicli di lavaggio in lavatrice. Sono obiettivi di studio che tra l’altro ti permettono di avere un continuo collegamento con le università, il che a sua volta ti porta sia a cogliere delle opportunità che restando nella tua comfort zone non ti arriverebbero sia ad attrarre profili che altrimenti non prenderebbero in considerazione un’azienda familiare come la ROLD». E qui entra un ulteriore sfida per le imprese familiari: la comunicazione. Secondo Rocchitelli le PMI sono per DNA orientate al fare piuttosto che al dire, invece è importantissimo raccontare quello che si fa, anche, ma non solo, per attrarre i talenti e racconta di come ROLD abbia già da tempo deciso di investire nell’employer branding, proprio allo scopo di definire e promuovere la propria realtà sottolineandone i valori che la caratterizzano.
Mattia Malvestiti introduce un ulteriore fattore di attrattività: la crescita, con riferimento sia all’azienda stessa sia ai percorsi che all’interno di essa si possono tracciare per i giovani talenti: «È chiaro che un’azienda più è grande e più è articolata, si svincola dalla caratteristica di “bottega” per diventare una realtà in grado di creare opportunità che la rendono più interessante e sexy sia per i membri della famiglia sia per gli esterni». Crescita però significa anche managerializzazione e aumento delle competenze, una sfida perché «può essere difficile convincere il super laureato della Bocconi con MBA ad Harvard a venire a lavorare in molte delle nostre aziende». La soluzione in questo caso può essere il ricorso a temporary manager che potrebbero anche fungere da mentor per le risorse interne.
Mattia inoltre sottolinea come le aziende famigliari comunque abbiano già in mano una carta importante da giocarsi sul fronte dell’attrattività: l’umanità. E su questo tema c’è identità di vedute con Michela Conterno che afferma: «Le aziende famigliari non sono come le multinazionali, hanno una faccia e un nome, all’interno si creano delle relazioni di fiducia a lungo termine. E quando le cose vanno male, l’ultima cosa che fanno è lasciare a casa le persone, sono un baluardo dell’occupazione».
Non ci si deve dimenticare della necessità di una governance chiara. Su questo aspetto Costanza Musso è molto diretta: «Anche se hai una piccola impresa, devi avere una governance con regole non dissimili da quelle delle grandi. Devi riunirti per esempio periodicamente: il nostro CDA lo fa una volta al mese, per un giorno si lasciano gli smartphone sulla scrivania e ci si dedica invece a capire come e dove sta andando l’azienda, a studiare le strategie e a parlare di progetti importanti. In altre parole cerchiamo di sollevare la testa dal giogo dell’operatività a cui l’imprenditore è sempre incatenato e guardiamo oltre, anche cercando di ispirarci alle best practice di altre realtà». In questo, associarsi ad AIDAF aiuta moltissimo perché l’associazione raccoglie tante aziende diverse tra loro per dimensioni e prodotto e che provengono non più solo dalla Lombardia come un tempo, ma da tutte le regioni d’Italia: «Qui ti puoi ispirare, confrontarti senza patire la sensazione di non essere all’altezza. Nessuno ti farà mai sentire inadeguato anche se devi sapere che esistono modi più avanzati e consolidati di fare impresa».
L’ultimo giro di tavolo concerne un tema che infiamma in genere gli imprenditori: cosa affatica di più il loro lavoro quotidiano? Certamente tutti lamentano di non sentirsi adeguatamente supportati dalle istituzioni. Dice Serena Agostini: «Oggi è in corso uno scardinamento dei meccanismi che ci ha consentito di sopravvivere fino ad adesso. La mia paura è che nei nuovi equilibri che si stanno creando non ci sia più posto per noi. Per essere più chiara, stiamo subendo in maniera spropositata, e più dei dazi, la concorrenza della Cina e questo per importanti asimmetrie di sistema come le materie prime, il costo dell’energia e quello del lavoro. Temo purtroppo che i governi nazionali non possano fare molto, ci vorrebbe una reazione strutturale a livello europeo». L’effetto sfinente della concorrenza è rimarcato anche da Rocchitelli che usa un’immagine efficace: «Nelle trattative ti trovi davanti non una persona, ma un foglio Excel che deve avere il valore dell’ultima casella in basso a destra più basso dell’anno precedente. E se c’è di mezzo la Cina o la Turchia sappiamo bene di essere in difficoltà perché i nostri costi sono maggiori».
La giungla della burocrazia è l’altro incubo: ciascuna impresa potrebbe raccontare un ricco florilegio di aneddoti a riguardo che sfiorano l’insensatezza e che strappano ad Agostini, lei che è cresciuta ad azienda e politica, l’ammissione che in Italia la politica è paradossalmente spesso la prima vittima della burocrazia. Ed ecco che torna il tema della resilienza. Impossibile non ricordare la celebre frase di Luigi Einaudi: «Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È la vocazione naturale che li spinge; non soltanto la sete di guadagno». Ed è questa vocazione ad andare testardamente avanti, dice Costanza Musso, ciò che caratterizza maggiormente le aziende familiari: «Quelle che durano nel tempo hanno una resilienza tale che poi gli fa un baffo tutto, che sia la guerra o che sia la Cina, perché sono riuscite a sopravvivere al loro Paese».