Piccolo Lemmario della Cultura d’impresa: #BELLEZZA

Workout Magazine - Studio Chiesa communication

Il primo a lanciare la sfida fu Adriano Olivetti, straordinaria figura di imprenditore-intellettuale, quando nel 1955, in occasione dell’inaugurazione dello stabilimento di Pozzuoli, parlò della sua volontà di creare una fabbrica bella, perché “la bellezza fosse di conforto nella vita di ogni giorno”. Bello l’edificio lo era, integrato nel magnifico paesaggio circostante e aperto alla luce mediterranea che irrompeva dalle sue grandi finestre. Ma non si trattava solo di una scelta architettonica: le fabbriche, secondo la visione olivettiana, dovevano essere “alla misura dell’uomo perché questi trovasse nel suo ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza”. E questa determinazione si esplicava in una costante attenzione alle condizioni dei lavoratori con ambienti migliori, salari più elevati, servizi sociali ai tempi avveniristici. In parole più attuali, e talvolta oggi abusate, Olivetti voleva per i suoi dipendenti una migliore qualità di vita.

Alla fine questo è l’ingrediente fondamentale della ricetta per un’impresa “bella”: concepirla come una comunità produttiva, che mira certamente al profitto, ma più ancora tutela e favorisce la crescita delle persone che ne fanno parte. Con la certezza che è solo in un ambiente con queste caratteristiche, dove è piacevole lavorare e che vede la “partecipazione operosa e consapevole di tutti ai fini dell’azienda” sempre per citare Olivetti, che si generano idee creative che si traducono poi in una “bella” produzione. Quindi un’impresa che attribuisce valore a chi ci lavora genera eccellenza di prodotto.

E qui si apre una seconda questione: che cosa rende bella una produzione? Tutti pensiamo di saper rispondere a questo interrogativo quando si tratta di un abito o di una sedia, ma che dire di una valvola oppure di una lega metallica? Va premesso che quando si parla di bellezza di un prodotto/manufatto si viene sempre messi in guardia dall’applicare valutazioni legate alla dicotomia “mi piace/non mi piace” che ne rappresenterebbe un approccio superficiale. Ma forse non è proprio così. Per esempio ormai è assodato che l’occhio umano sembra ricavare un piacere istintivo da qualsiasi forma che segua criteri di proporzione espressi dalla sezione aurea. In altre parole i nostri giudizi d’impulso avrebbero una base fondata su una costante matematica e quindi sarebbero tutt’altro che soggettivi…

Senza addentrarci nella disamina, affascinante ma che ci porterebbe troppo lontano da questo lemmario, nella concezione contemporanea della bellezza manifatturiera confluiscono forma e funzione, ma anche sostenibilità e innovazione. E quindi, sì, una valvola ben studiata e ben realizzata è bella, anche se forse, strizzando l’occhio a Marinetti quando stendeva il suo Manifesto del Futurismo, non più della Vittoria di Samotracia che si vedeva sopravanzata da una macchina ruggente. In altre parole, la produzione di un oggetto, se bello, risponde a quei principi di misura ed equilibrio già cari ai nostri umanisti, rispetta l’ambiente e le persone ed esprime innovazione nel senso più ampio del termine. Termine che ritroveremo prossimamente nel nostro lemmario.

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