La persistenza delle tracce dipende dal radicamento che in noi hanno avuto: quanto di esse vogliamo portare nel presente e nel futuro, ben sapendo che sono ormai aloni soffusi, dai margini evanescenti ma dal pungente rimando. Spesso l’arte veicola le tracce, perché ha in sé l’ombra dell’artista e quella del collezionista, che ha scelto di aggiungere a quella storia la propria, miscelando atmosfere, sogni, frustrazioni, gioia e depressione. Le opere d’arte non sono arredo, anche se spesso la contemporaneità consumistica ce lo ha fatto credere, ma vita, sguardo, affezione, bellezza. In esse ritroviamo l’ispirazione dell’autore, ma pure attribuiamo a esse nuove tracce, quelle del nostro vissuto, della quotidianità, dell’intimità.
Questa prima mostra nella Nutrimentum Gallery espone la collezione Chiesa - Roncaia ed è stato per me fondamentale chiedere quale fosse l’opera più significativa sia a Enrico che a Rossella. Convinta, appunto, che non esista arte se non sussiste un’affinità tra essa e il fruitore, un legame sottaciuto e carsico che la aggancia al sentimento.
“Non è facile per me risponderti… O forse facilissimo, se parto dal cuore e dalle emozioni” - inizia così Enrico - “Non amo il figurativo, preferisco l'arte astratta, ma se devo scegliere non ho dubbi: è un dipinto che ha sempre generato in me grandi emozioni sin da piccolo. Era appeso a una parete del soggiorno dove mia mamma amava suonare il piano e dove spesso io la ascoltavo seduto sul divano, con davanti quel quadro che per me raffigurava il lago di Varese (non so se in realtà lo fosse, ma poco importava). Nel tempo ha sempre rappresentato la mia infanzia, il calore della casa e la passione per la musica di mia mamma. Ora accompagna le mie giornate in studio: lo guardo e la mia mente ripercorre quei momenti”. La tela di Guglielmo Talamini (1867-1918) in effetti emana una sensazione di pace; lo sguardo si espande nello specchio d’acqua lacustre che si fa candido vapore generando una cesura tra la parte inferiore, ancora figurativa, e quella superiore che muta in campitura metafisica, tesa all’astrazione. La luce è calda, a imperlare le acque che vibrano di impercettibili riflessi aurei. In primo piano, il promontorio, di un marrone spettinato, da cui guardare la protagonista: la solitudine, la stessa che accompagnò tanta parte di vita dell’artista stesso. Ma in quell’incresparsi invisibile di onde ci stanno pure i moti dell’animo di Enrico, le note suadenti del pianoforte e la straordinaria personalità della mamma, Lela, espansa e brillante quanto quel lago eternato da Talamini.
“È stata un’emozione vivere l’istante in cui l’artista l’ha realizzata davanti a me dedicandomela” - mi incalza Rossella - “È stata un’emozione conoscere l’artista, è stata un’emozione presentare l’artista per la mia tesi, è stata un’emozione l’applauso dell’intero corpo giudicante e della Rettrice dell’Accademia Clementina. È stato triste che nessuna delle persone a me care fosse lì a condividere il mio percorso, anche se non ho mai dubitato del loro amore, perché ho sempre saputo di essere una ribelle, quasi come questa autrice: Carol Rama”. In effetti, se penso a Carol Rama (1918-2015) e a Rossella, penso a una linea, non sempre dritta, anzi spesso curva, a volte contorta, ma indubbiamente netta e pure solitaria. Non è facile essere donne “atipiche” e anticonvenzionali, renitenti al conformismo e molto ironiche e autoironiche. Il segno in Carol sa esattamente dove nascere e sa dove morire, senza soluzione di continuità: è un profilo del quale si impone il corpo e si immagina il capo, mentre a pulsare è il solo colore, un giallo intenso, destinato alla pupilla. A guardare l’orizzonte e forse a cercare nuovi traguardi…
Nella mostra ci sono due incursioni che interagiscono con le opere e coi fruitori: la poltrona di Carla Tolomeo (1941) e le valigie del Museo Ettore Guatelli. La prima associa la funzione, il sedersi, all’azzardo poetico, all’unicità artistica, così che una postura di riposo possa divenire uno straordinario viaggio nell’immaginario. Chi potrebbe mai pensare che, sedendosi, in realtà cominci una modalità altra per stare, percepire, fruire? L’abbraccio fitomorfo e poliforme desume dalla natura e dai suoi azzardi la miglior linfa estetica per emozionare lo spettatore. In particolare, chi si sieda nella Nutrimentum Gallery può idealmente inerpicarsi balzellando di sguardo in sguardo alla vertigine della luna, anzi delle lune. Le mille lune danzano policrome, carnose, distribuite a petalo o inanellate in una moltiplicazione divertita e generosa di spicchi fino alla sommità, a toccare il cielo con un dito.
Quella col Guatelli invece è una affinità e una collaborazione di lungo corso sul progetto Visioni dall’infra-ordinario, giunto alla terza edizione, che quest’anno sviluppa il tema “Ci sono case che sono musei, ci sono musei che sono case”. Il Museo Ettore Guatelli nasce in una casa, nel podere Bellafoglia a Ozzano Taro (Parma), ed è una casa-museo generata dall’amore e dal genio di Ettore Guatelli. Un luogo unico al mondo. E da lì arrivano tre valigie, che per antonomasia servono per trasportare ciò che riteniamo più necessario, quello da cui non vorremmo separarci. Del resto è una valigia anche quella di Marcel Duchamp, in cui, in Boîte en Valise (1941), ripone le riproduzioni delle opere che ritiene indispensabili alla sua produzione d’artista. Sono valigie quelle di Fabio Mauri ne Il muro occidentale o del pianto (1983), mediante le quali ci ricorda l’orrore dell’Olocausto e di tutti coloro che ancora oggi sono destinati all’esilio, alla fuga, all’esodo forzato. La valigia persiste pure come metafora del piacere dell’esplorazione. In tal senso quelle del Guatelli arrivano nella Nutrimentum Gallery a sottolineare l’affinità collezionistica di Rossella ed Enrico e di Ettore Guatelli, che hanno analogamente deciso di condividere il patrimonio privato con i collaboratori, gli amici e il pubblico, rendendo manifesta la bellezza di ciò che ha in primis incantato e appassionato loro.
Da codesti intrecci si sviluppano inediti, avvincenti tracciati, lasciando, chissà, tracce altre a stimolare ulteriori cammini…
Elisabetta Pozzetti
Direzione curatoriale: Elisabetta Pozzetti
Concept e coordinamento: Rossella Roncaia
Progetto e allestimento: Studio Chiesa>
Nella prima sezione la vocazione è prettamente narrativa, vi è sottesa l’intenzionalità a raccontare un brano di vita, uno scorcio inedito, una geografia immaginaria, un’alchimia botanica.
Nella prima sezione la vocazione è prettamente narrativa, vi è sottesa l’intenzionalità a raccontare un brano di vita, uno scorcio inedito, una geografia immaginaria, un’alchimia botanica.
La sezione Signum si caratterizza invece per la forza del segno, del tratto, che scava, delinea, incide, solca.
La sezione Signum si caratterizza invece per la forza del segno, del tratto, che scava, delinea, incide, solca.
La terza sezione, denominata Corpus, rivendica nella fisicità e nella matericità l’imperativo all’esistenza, intende la plasticità non solo come esigenza estetica e formale ma come evidenza imprescindibile della contemporaneità.
La terza sezione, denominata Corpus, rivendica nella fisicità e nella matericità l’imperativo all’esistenza, intende la plasticità non solo come esigenza estetica e formale ma come evidenza imprescindibile della contemporaneità.
L’ultima sezione, Ludus, interpreta l’arte con la leggerezza che le è propria, pur trattando spesso temi rilevanti e per nulla scontati.
L’ultima sezione, Ludus, interpreta l’arte con la leggerezza che le è propria, pur trattando spesso temi rilevanti e per nulla scontati.
“Ci sono case che sono musei,
ci sono musei che sono case.
Il Museo Guatelli è una casa-museo
generata dall’amore e dal genio
di Ettore Guatelli.
E da lì arrivano due valigie,
che per antonomasia
Servono per trasportare
ciò che riteniamo più necessario,
Quello da cui non vorremmo separarci.”
direzione Mario Turci
“La poltrona
di Carla Tolomeo
associa la funzione, il sedersi,
all’azzardo poetico,
all’unicità artistica,
così che una postura di riposo
possa divenire
uno straordinario viaggio
nell’immaginario”
RITRATTO ENRICO
Clelia Ambrosini Chiesa (1933 – 2021)
penna a sfera, 24 x 31 cm
RITRATTO ROSSELLA
Graziana Bordini Roncaia (1946)
tempera su tavola, 18 x 23 cm
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