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Si è partiti qualche anno fa con Greta Thumberg e il movimento fridays for future. Si è poi passati a parlare di Europa 2030 ed Europa 2050. Per approdare verso il grande universo della Responsabilità Sociale d’Impresa (CSR) e del bilancio sociale. Per arrivare, infine, al tema della sostenibilità ambientale.
Un universo semantico che vuol dire tutto e vuol dire nulla. Ed è proprio in questo chiaro-scuro di significato che si sono infilati la comunicazione e il marketing. E oggi, nella Giornata Mondiale della Terra – 22 aprile 2022 – mettendo in pentola tutto questo ne verranno fuori delle belle. Perché si sa – lo dice anche un proverbio – fatta la legge, fatto l’inganno. Che nel nostro caso, si potrebbe tradurre in: si può essere sostenibili (a parole) senza esserlo (nei fatti). Ma andiamo con ordine.
Si sa, oggi il tema della sostenibilità e del (correlato) impatto ambientale sono sulla bocca di tutti e rappresentano uno dei key topic per molte aziende. Almeno per due motivi:
morale/di awareness > ovvero legato alla sostenibilità e alla percezione del brand che diventa, agli occhi del target, tanto più positiva quanto la marca è sostenibile e parla di temi ambientali.
Sono due facce della stessa medaglia e devono andare, sicuramente, in equilibrio tra loro per non risultare da un lato stucchevoli ed evidentemente clickbait; dall’altro false e scollegate dal contesto aziendale.
Come fare?
Bella domanda… però sicuramente porta con sé la risposta: FARE.
Ovvero comunicare azioni che sicuramente, il brand o l’azienda, abitualmente percorre e intraprende. Che sente proprie e che attiva nei propri meccanismi aziendali.
Ma non sempre questo è possibile. O fattibile. O ancora percorribile.
Per tante ragioni: da un feeling non positivo al tema, alla mancanza di azioni concrete sostenibili.
Ed ecco che in questo spazio si infila una delle tecniche più discusse e conosciute oggi: il GREENWASHING. Letteralmente: il lavaggio verde. Tecnicamente: far passare per un diamante un pezzo di vetro ovvero far credere che un brand abbia una reputazione aziendale di spessore in tema ambientale/ecologico attraverso la comunicazione di temi che sembrano eco-sostenibili, ma che in realtà non sono tali.
Eccolo qui: GREENWASHING. Che sembra anche una parola bella; siamo sinceri. Suona bene. E si porta dietro tutto il tema del verde, dell’ecologico, del sostenibile; anche in termini di psicologia del colore. Ma che si ferma lì. All’apparenza. Perché, come ci spiega il Glossario di Marketing:
“attraverso il greenwashing l’impresa mira a conseguire un posizionamento incentrato sulla sostenibilità ambientale e, dunque, ad ottenere i benefici da esso derivanti, in termini di immagine e quindi anche di fatturato[…]. Ciò tipicamente avviene tramite campagne di comunicazione che tendono ad evidenziare gli indicatori che mostrano l’impatto positivo dell’attività dell’impresa nei confronti dell’ambiente[…] In altri termini, l’impresa si serve della comunicazione per attribuire valenze di carattere ambientale alle proprie attività, nonostante nella realtà esse siano guidate solo in parte, o non lo siano affatto, da logiche di sviluppo sostenibile”.
E questo accade sia nel B2B, sia nel B2C.
Ovviamente, lato consumer, è molto più semplice e gli esempi di greenwashing piovono come se non ci fosse un domani. Bottiglie di acqua e bevande gassate riciclate, emissioni di Co2, lavaggio di asciugamani in hotel… ce n’è di ogni. Cerotti anti-razzismo, legno riciclato… insomma temi ed esempi spopolano. Se volete leggere una rassegna di alcuni casi eclatanti nel B2C vi lasciamo questo link: https://economiacircolare.com/linsostenibile-leggerezza-del-greenwashing/
Ma anche nel B2B gli esempi non mancano: la microfibra 100% ecologica per l’industria automotive, il diesel bio e rinnovabile per il settore agricolo, il recipiente ecologico per un determinato prodotto. Per citarne alcuni.
E’ chiaro quindi che tutto questo non passa come acqua di rose sul brand. Certo l’obiettivo di chi mette in campo tecniche di greenwashing è quello di aumentare la percezione di sostenibilità della marca. Ma se non tutto va secondo i piani e si inciampa l’effetto sul brand può essere devastante:
sulla loyalty: in termini di perdita di fiducia da parte del target rispetto alla marca con conseguenze sulla reputazione/awareness e, quindi, sul business stesso.
Come in ogni cosa esiste, purtroppo, il dark side e chi ne approfitta.
Comunicare la propria sostenibilità è un diritto di ogni azienda e di ogni brand, ma è anche un dovere – morale ed etico – quello di farlo in modo onesto, corretto, trasparente e rispettoso. In altre parole: di fare del vero GREEN MARKETING!
E ricordate che anche noi, nel nostro quotidiano, possiamo sostenere il nostro Pianeta:
#earthday oggi, domani, sempre!
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